Deconstructing islamofobia

Sulla falsa riga dei post della sezione Deconstructing del blog Intersezioni, voglio provare a cimentarmi in un’operazione simile relativamente a questo articolo apparso pochi giorni fa su L’Eco di Bergamo, dove narrano di un immigrato di religione islamica che si sarebbe rifiutato di far sottoporre la moglie ad un parto cesareo per convinzioni religiose. L’Eco di Bergamo, infatti, non è nuovo ad articoli che fomentano l’odio razzista ed islamofobico riportando fatti se non inesatti, almeno costruiti in modo da rappresentare una visione dell’accaduto parziale, ma ben precisa negli intenti. Ma andiamo a vedere cosa c’è da decostruire in quella che parrebbe essere una vera e propria narrazione tossica, paragrafo per paragrafo.

«Non voglio che pratichiate il parto cesareo a mia moglie. La mia religione non lo prevede. Mio figlio deve nascere in modo naturale». Ha dato quasi in escandescenza un uomo di religione islamica in procinto di diventare papà, nella serata di lunedì 14 al Bolognini di Seriate.

“La mia religione non lo prevede”. Questa citazione è stato il primo campanello di allarme. Ho infatti chiesto ad un’amica di religione islamica, Valeria Argiolas, la quale mi ha confermato che non esistono precetti che prevedano che una donna debba partorire di solo parto naturale, anzi: il precetto a livello generale è “prendersi cura di sé”. Mi ha quindi passato questo link ad un sito sulla dottrina dell’Islam salafita che riprende appunto diversi precetti ed indicazioni per quanto concerne il parto (l’accouchement). Traducendo il secondo e terzo paragrafo della Reponse, troviamo che: “se la dottora pensa, secondo le proprie competenze, che la partoriente non potrà partorire naturalmente e che si dovrà ricorrere ad un cesareo, in questo caso (la donna) dovrà essere trasferita in ospedale. Quanto alle nascite naturali, non le sarà permesso (alla partoriente) di lasciare la casa ed essere ricoverata in ospedale per un parto naturale”. Quindi il divieto per quanto concerne il parto cesareo non esiste, la differenza sta solo nel fatto che se il cesareo e la conseguente ospedalizzazione non sono necessari, la donna islamica partorirà in casa anziché in ospedale – pratica ormai diffusa anche tra le donne italiane non islamiche, in qualsiasi caso. Esiste, al più, una raccomandazione circa il genere del medico che dovrà seguire il parto, che dovrà essere una donna. Esistono dei casi eccezionali? Certo che sì. Infatti il paragrafo seguente specifica che: “se la donna ha un (effettivo) bisogno di essere ricoverata in ospedale, in quel caso è obbligatorio che ad occuparsi dell’assistenza al parto non sia chiamato un medico uomo. Tuttavia, se un medico donna non è presente, allora non c’è niente di male, o piuttosto, se ella (la partoriente) è in pericolo e non ci sono medici donna presenti, è allora obbligatorio che ad assisterla (durante il parto) sia un medico uomo”. Se di turno in ospedale, presso il quale la donna islamica si reca solo in caso di assoluta necessità di assistenza specializzata, non ci sono ginecologhe, allora ad assistere la donna durante il parto può prestarsi un ginecologo. Possiamo dedurne che non ci pervengono dati circa il divieto di praticare parti cesarei per i credenti islamici (questo è un sito salafita, certo, ma mi è stata prospettata l’altissima improbabilità che si verifichi un tale divieto presso correnti diverse1). Oltretutto, l’uomo ha dato quasi in escandescenze. Due paragrafi dopo, tuttavia, si afferma che l’uomo ha inveito contro il personale sanitario, tanto che questi sono stati costretti a chiamare il personale della sicurezza per evitare che la situazione degenerasse (par. 2 qui non riportato). Quindi ha inveito o ha dato quasi in escandescenze? Non è chiaro.

Il dato che ci perviene, di contro, è quello dell’abuso della pratica del parto cesareo in Italia. Secondo alcuni dati, oltre il 40% di quelli praticati non sarebbe infatti necessario. Infatti:

Sottoposta dal personale sanitario agli esami del caso, i medici hanno spiegato alla coppia che avrebbero optato per un taglio cesareo per far nascere il piccolo senza rischi per lui e per la madre.

Delle due, l’una. O c’era un rischio, e quindi non c’era “opzione”; oppure il rischio era solo probabile ma non certo. Se il rischio non era certo, il marito della donna si sarebbe solo opposto ad un intervento chirurgico non necessario. Personalmente non me la sento di dargli poi torto, soprattutto avendo mio malgrado avuto a che fare con parecchi medici di molte diverse specializzazioni nel corso degli ultimi 8 anni.

Subito dopo, l’articolista ci fa sapere che:

All’idea, però, il padre ha iniziato a inveire contro il personale in servizio. Nonostante l’arrivo dei carabinieri l’uomo è rimasto fermo nelle sue convinzioni. Tanto da decidere, poco dopo, di lasciare l’ospedale con la moglie senza che questa partorisse.

In chiusura, cos’è successo? Che una donna, presumibilmente in travaglio e quindi dolorante, oltretutto secondo i medici con un parto a rischio, è riuscita a lasciare l’ospedale a piedi per una non meglio precisata destinazione (probabilmente casa sua o un altro ospedale). Solo a me qualcosa non torna?

Voglio poi fare i complimenti al volo pindarico più fantasioso che ho trovato cercando la notizia riportata su altre fonti: lo trovate sul sito “Tutti i crimini degli immigrati” (già il titolo è tutto un programma) a questo indirizzo. La pagina riporta pari pari l’articolo de L’Eco di Bergamo, ma il titolista, fantasiosissimo e per nulla pregiudizievole, decide che l’uomo avrebbe anche asserito che la moglie sarebbe stata meglio morta che operata di cesareo, e che avrebbe aggredito i medici che cercavano di salvarne la consorte.

Disinformazione, razzismo latente ed implicito, islamofobia, ed un modo di rendere le notizie ambiguo e di facile fraintendimento, tutto allo scopo di generare sensazionalismo. Leggere attentamente e decostruire frase per frase, parola per parola, mettendo in relazione le une con le altre ogni articolo di cronaca che capiti di leggere sembra essere diventato un imperativo culturale se non si vuole diventare succubi di un sistema che accetta l’alterità solo quando risponde a ben precisi (e controllabili) canoni.

1La dottrina salafita è generalmente considerata la più “stretta”, se quindi non esistono qui divieti circa la pratica del parto cesareo in caso di pericolo di vita è di conseguenza molto improbabile che tale divieto viga in altre dottrine dell’Islam che siano meno “rigide”.

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